Tra file corrotti e foglie d’oro : Gravely Restless 2020 2025 in corso
Sto lavorando a un progetto che si chiama Gravely Restless.
È un lavoro che parte da lontano, da una sensazione che conosco bene: la rimozione della morte nella nostra cultura. E, con essa, di tutto ciò che ci lega davvero alla vita.
Sento che non possiamo più parlare della morte con leggerezza, ma nemmeno con reverenza sterile. Ci serve un linguaggio nuovo. Uno sporco, grezzo, vivo.
Per questo mi trovo ad usare strumenti che forse sono grossolani, primitivi, ma necessari: pennelli, colori forti, sovrapposizioni. Parti che sembrano scontrarsi col digitale… e invece ci parlano meglio.
Lavoro spesso su fotografie di cimiteri inglesi. Luoghi ordinati, dimenticati, bellissimi e vuoti. Li uso come sfondo comune per divinità della morte di diverse culture: Ade, Anubi, Hel, Santa Muerte…
Sono dèi depotenziati, dimenticati, ma ancora vivi in qualche piega profonda dell’immaginazione collettiva.
Mi interessa il contrasto tra ciò che è morto e ciò che è sacro, tra ciò che è sacro e ciò che è diventato solo estetico.
Per questo, a volte, traccio a mano contorni fucsia, come se il mio occhio avesse bisogno di urlare:
“Guarda qui. Guarda ciò che stai ignorando.”
E poi c’è il dubbio — sempre lui.
Stampare le foto e poi intervenire con trasparenze, strappi, sovrapposizioni vere?
Oppure restare nel digitale, simulare la materia, senza mai davvero toccarla?
Non lo so ancora. Ma so che ho bisogno della materia.
Anche se parto dal digitale, ci ritorno.
Ho bisogno di sentire il peso, l’imprecisione, la possibilità dell’errore.
Nel mio lavoro uso anche frasi, codici rotti, come GOD_NOT_FOUND.EXE
, glitch, QR corrotti.
Mi interessano come icone religiose postmoderne: rappresentano una fede senza divinità, un culto svuotato.
E poi c’è qualcosa di più profondo, che mi muove in questi giorni.
Senza il concetto di morte, non si vive.
E la mia paura è che non solo l’abbiamo rimossa — ma ci siamo abituati a vederla.
Abituati a vedere bambini morire, corpi sotto le bombe, vite spezzate in diretta, persone uccise dalla violenza e dalla disumanità — come è accaduto alla ragazza trans pochi giorni fa.
E nello stesso tempo, viviamo negando la morte. Facciamo finta che non ci appartenga.
E questo — questa doppia distorsione — è pericolosissima.
Gravely Restless è, forse, anche questo:
una reazione viscerale.
Un tentativo di ridare corpo al sacro. Anche se quel corpo è spezzato.
Anche se lo contorniamo con colori troppo accesi.
Anche se oggi, a parlare della morte, sembriamo solo antiquati.
O troppo vivi.
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